Donne CEO in Italia: cosa rivelano i numeri sullo squilibrio di genere

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Negli ultimi anni la percentuale di donne con un’occupazione in Italia è salita notevolmente. In concomitanza con questo fenomeno, è aumentato anche il numero di donne assunte per ricoprire posizioni dirigenziali. Tuttavia, la sproporzione tra il genere femminile e maschile è evidente e la situazione è ampiamente migliorabile.

In questo articolo, viene proposta un’analisi del fenomeno dal 2019 ad oggi. In particolare, lo zoom sarà aggiustato più volte: se inizialmente l’Italia, in una visione macro, sarà la protagonista in un confronto con gli altri paesi europei, in un secondo momento, sarà indagata in paragone con il resto dei paesi del mondo, per concludere "più da vicino", in una visione micro, evidenziando le profonde discrepanze tra il Nord e il Sud della penisola.

Il divario uomo-donna: negli anni un lieve miglioramento

In generale, la percentuale di donne all’interno degli organi decisionali italiani è ancora molto bassa. Circa il 20% delle lavoratrici dipendenti dichiara di avere mansioni per cui è prevista la coordinazione del lavoro di altri impiegati.

Negli ultimi anni, si guardi ad esempio la finestra dal 2019 al 2022, c'è stato, però, un graduale, seppur lieve, miglioramento nelle mansioni di coordinazione politica e amministrative, in riferimento alle società quotate in Borsa:

  • La memoria ISTAT riporta che, nel 2019, se si guarda alle posizioni di spicco dedicate alla politica, da sempre di grande rilevanza nello spaccato culturale italiano, le donne sindaco raggiungono – con un incremento del 2,5% rispetto all’anno precedente– un magro 14,3% del totale. Per quanto riguarda, le donne impiegate nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa, sempre nello stesso anno, la quota è leggermente più positiva, ma con un 36,4%, che si trova nettamente sotto ai livelli che condurrebbero alla parità di genere.

  • Il 2020 vede un margine di miglioramento, stando al Rapporto Benessere Equo e Sostenibile di ISTAT, con una quota di donne elette nei consigli regionali che aumenta di quasi 8 punti percentuali, raggiungendo il 22%. Allo stesso modo, cresce il numero di donne all’interno dei consigli d’amministrazione delle grandi società quotate in Borsa, che con un +2,2% raggiunge il 38,6%.

  • Segue il 2021, in cui, nonostante i livelli di istruzione delle donne superino quelli degli uomini di circa 5 punti percentuali, i tassi di occupazione femminile sono al 55,7%, contro il 75,8% dei maschi. Non è un caso che questi dati si riversino nella composizione della percentuale di donne che ricoprono posizioni apicali.

    Con un’occupazione che supera di poco la metà dell’intero, è inevitabile che il numero di posizioni decisionali ricoperte dal genere femminile non sia nemmeno classificabile come mediocre.

    Inoltre, la crescita dei numeri rispetto all’anno precedente è minima, con un 38,8% di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate e un’invariata tendenza delle donne elette nei consigli regionali.

  • Il 2022 rivela nuovamente una tendenza positiva per la percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa, raggiungendo un 42,9% e avvicinandosi alla soglia del 45%, stabilita nel 2021 come obiettivo da raggiungere entro il 2026 dalla Strategia Nazionale per la Parità di genere. Anche negli organi decisionali politici italiani si conferma questa curva, caratterizzata da un 21% di donne impiegate per queste posizioni.

Dove vanno ricercate le cause di questo squilibrio ancora grande?

  • Qualità del lavoro delle donne (precarietà, part-time involontario, sovra istruzione): spesso il lavoro delle donne è associato a minore qualità, ma non per loro mancanza. Infatti, molte donne si trovano a dover lavorare per posizioni precarie (quasi il 20%) o part-time (oltre il 30%) per poter conciliare lavoro e famiglia: oltre il 60% delle lavoratrici a tempo indeterminato è costretta a ridurre il proprio orario lavorativo, secondo ISTAT, e i numeri salgono all'82,1%, quando si tratta di lavoratrici a tempo determinato. I numeri salgono di un ulteriore 10%, quando sono presenti dei figli. Inoltre, per la maggior parte delle posizioni lavorative che le donne accettano indipendentemente dalla loro volontà è richiesto un livello di istruzione più basso di quello conseguito, causando una sovra istruzione della forza lavoro femminile.

  • Livello di istruzione: nonostante il fenomeno di sovra istruzione, è solamente di recente che le donne vantano livelli di istruzione più alti di quelli degli uomini. Infatti, il grande squilibrio di genere a cui assistiamo oggi è causato massivamente da ciò che era tipico della società del secolo scorso, ovvero una netta minoranza delle donne istruite, che erano, quindi, meno allettanti sul mercato del lavoro.

    Nel 1980 il 2% delle donne aveva una laurea; invece, nel 2023, secondo i dati ISTAT, oltre il 23% di esse è in possesso del titolo.

  • Visione culturale nei confronti del lavoro: in generale, è nella concezione culturale italiana che la donna debba stare a casa per prendersi cura della famiglia. Ciò, ha reso l’emancipazione femminile difficile nel corso degli anni, in termini di partecipazione al mondo del lavoro. Da un sondaggio sulla discriminazione di genere, emerge che circa il 20% degli italiani crede nella donna del modello tradizionale di genere, ovvero quella che non deve (necessariamente) occuparsi di fornire il reddito utile alla sussistenza della famiglia.

  • Livello di occupazione femminile: per quanto riguarda le posizioni decisionali, sebbene diverse analisi rivelino una debole correlazione tra occupazione e leadership, il livello di occupazione delle donne contribuisce alla generazione di risultati negativi nella risoluzione del divario di genere. Infatti, una minore partecipazione al mercato del lavoro porta ad un disequilibrio nella forza lavoro disponibile per le posizioni apicali.

    L’Italia registra un tasso di occupazione femminile pari al 43,6% e maschile dell’oltre 60%.

    Inevitabilmente, un mercato al maschile compromette un bilanciamento nella composizione dei concorrenti alle posizioni dirigenziali, traducendosi in meno figure di donne disponibili per ricoprire ruoli di spicco.

In questo contesto, è interessante tenere presente come tra le conseguenze di questi fattori ci sia anche un importante divario di genere retributivo e di reddito.

La Strategia Nazionale per la Parità di Genere in breve

La netta minoranza di donne nel ricoprire figure apicali trova le sue ragioni nel divario di genere che affligge il mondo del lavoro in generale. L’esigenza di riformare politiche, pratiche e decisioni riguardanti il lavoro per favorire la parità di genere è stata esacerbata dalla pandemia, che ha minacciato la posizione lavorativa di molte donne.

Secondo uno studio del McKinsey Global Institute, lo sbilancio occupazionale potrebbe gravare sul PIL mondiale, causando perdite di migliaia di miliardi di dollari entro il 2030.

Ecco perché il Governo italiano ha redatto una Strategia Nazionale in merito, per arginare il pericolo di peggioramento della condizione lavorativa femminile. Si tratta di un piano con ambizione quinquennale per fare progressi in termini di riduzione di differenze di genere, così da risultare – in una finestra di 10 anni – tra i primi 10 paesi europei per Gender Equality Index.

Cos’è il Gender Equality Index?

Una misura introdotta in Europa nel 2010, che indica in quale percentuale vi è uguaglianza di genere negli Stati Membri. Il calcolo è ottenuto tracciando l’avanzamento dei vari paesi in termini di lavoro, soldi, conoscenze, tempo, potere e salute.

Il suo scopo è tracciare il progresso – attraverso il monitoraggio e la comparazione – che l’Unione sta facendo (o meno) nella risoluzione del divario di genere in diversi settori della vita economica e sociale.

Lo scopo è, quindi, quello di contribuire a migliorare il punteggio attuale della nazione in contesto europeo, ma non solo. Infatti, migliorando la posizione individuale, il Bel Paese rafforzerebbe anche l’indice europeo, che è pari al 68,6% a livello generale e al 71,7% per il dominio del lavoro (dati aggiornati al 2022). Di fatto, supponendo che le posizioni della classifica restino invariate, l’Italia, con un incremento nel proprio punteggio nel dominio del lavoro, dovrebbe trovare posto tra Svezia, Danimarca, Olanda, Austria, Malta, Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Finlandia e Lettonia.

Dove si trova attualmente l’Italia rispetto agli altri paesi dell’Unione?

Per quando riguarda la sfera del lavoro, l’Italia si aggiudica l’ultimo posto della classifica europea, con un indice di uguaglianza pari al 63,2%. Dunque, la separano dalla capolista Svezia ben 19,8 punti percentuali. La causa è da ricercarsi:

  • nel problema nell’ancora troppo alta offerta di contratti a tempo determinato;

  • in diffuse interruzioni dal lavoro a causa del parto;

  • nella frequente segregazione di genere che caratterizzano lo Stivale.

Sebbene non performante nelle classifiche generali, l’Italia si aggiudica il primo posto in Europa per percentuale di donne nei comitati dei CdA, con un 47% di partecipazione. Certamente, non si tratta di un successo, alla luce della percentuale di donne a capo dei CdA, ovvero il 15%.

Le priorità della Strategia:

Le 5 priorità strategiche stabilite dal Governo per incrementare la tendenza positiva del Paese nel rimediare alle diseguaglianze nel mercato del lavoro sono le seguenti:

  • lavoro, in termini di opportunità di carriera;

  • reddito;

  • competenze;

  • tempo, affinché vi sia una pari distribuzione di attività non remunerate – come la cura dei figli;

  • potere, in termini di equa distribuzione delle posizioni apicali.

Le misure prese per perseguire gli obiettivi sono decine, così come gli organismi e gli istituti coinvolti a sostegno dell’iniziativa (ISTAT, INPS, Banca d’Italia e Consob sono solo alcuni esempi). L’auspicio è di riuscire a rendere l’Italia un paese moderno e preparato ad affrontare la sfida dei tempi futuri, in accordo con quanto comunicato dal Dipartimento delle pari opportunità.

Divario di genere: a che punto è l’Italia nel mondo?

Nonostante l’Italia negli ultimi decenni abbia fatto dei progressi nel ridurre il divario di genere e favorire l’assunzione delle donne in numerose misure apicali, la posizione del Paese nella classifica mondiale lascia ampio spazio per il miglioramento.

Oltre a trovarsi in una posizione di mezzo, il Bel Paese non ha ottenuto progressi significativi che abbiano permesso di avanzare la classifica. Anzi, nell’ultimo triennio è arretrato:

  • di fatto, nel 2019, secondo i numeri presenti nel Global Gender Gap Report – ottenuti dal Global Gender Gap Index, ovvero il corrispettivo su scala mondiale del Gender Equality Index europeo citato in precedenza –, l’Italia si posiziona al 76esimo posto su 153 paesi.

  • Seguono il 2020 e il 2021, in cui si aggiudica per due anni consecutivi il 63esimo posto su 156. Si potrebbe considerare un miglioramento, se non fosse che, in contemporanea, in Europa l’Italia è al 30esimo posto su 36, indicando ancora una profonda arretratezza.

  • I dati più recenti sono in riferimento al 2022, che riserva all’Italia il 79esimo posto su 146.

Inoltre, guardando alla percentuale di donne CEO, l’Italia si posiziona in fondo alla classifica europea con un 3%, insieme alla Germania e seguite dalla Svizzera.

Nonostante anch'essa lontana dalla parità, la capolista Norvegia supera l’Italia di 23 punti percentuali, seguita da Repubblica Ceca e Polonia.

Dunque, sebbene l’Italia sia un’economia avanzata, si trova, in questo senso, più indietro di numerose economie emergenti. Bisogna in ogni caso riconoscere che, purtroppo, l’Italia non è sola in questo progredire con fatica: nessun altro paese al mondo è stato ancora in grado di colmare il divario. Quindi, in nessuno stato al mondo è possibile godere di piena parità di genere. Tuttavia, Islanda – in prima posizione per il 14esimo anno consecutivo –, Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Nicaragua, Namibia e Lituania, che ricoprono la prime 9 posizioni, hanno superato l’80% della lacuna per colmare le differenze.

Un tratto degno di merito va alla regione Europa che si posiziona come prima regione nella soluzione del divario.

Con questo tasso di progresso, ci si aspetta la parità di genere in 67 anni.

È considerando questo dato preoccupante che l’Unione si è adoperata per velocizzare il processo, adottando la Strategia per la parità di genere 2020-2025. In essa sono proposte non solo misure vincolanti per ridurre il divario, ma anche direttive mirate specificatamente all’equilibro di genere nei consigli di amministrazione.

Nord vs Sud e il problema del divario sulla parità di genere interno all’Italia

A rendere l’eliminazione delle differenze di genere difficile in Italia è un divario interno al Paese. Infatti, la penisola risulta – sotto molti profili – spaccata tra Nord e Sud. Questo si riversa negativamente sul tasso di occupazione e, stando al collegamento causa-effetto fatto in precedenza, sulla percentuale di donne che ricoprono posizioni apicali.

Di fatto, al 2023, uno studio di Confcommercio rivela che il tasso di occupazione delle donne al Sud è del 28,9%; al Nord è del 52%.

Considerando che l’Italia, con un tasso di occupazione medio pari al 43,6%, risulta ben lontana dalla media europea, del 54,1%, traiamo la conclusione che l’ostacolo al progresso è la disuguaglianza geografica nel Paese. Se considerassimo solo il Nord, le stime sarebbero quasi positive.

Lo stesso argomento può essere ripetuto analizzando i dati circa l'istruzione femminile: le donne laureate nella fascia d’età 30-34 anni, secondo le stime ISTAT, sarebbero il 37,1% al Nord e il 27% al Sud.

Quello esposto si tratta di un insieme di dati che spiegano come le forti differenze intra-regionali contribuiscano ad aggravare le prestazioni dell’Italia in contesto internazionale. Per questo motivo, sarebbe importante sanare le differenze interne, prima di poter pensare di essere più competitivi con l’esterno.

Prospettive future per il divario di genere in Italia

Nonostante raggiungere l’obiettivo della parità di genere nel mondo del lavoro non sia facile e il Paese proceda e rilento, ci sono buone prospettive per il futuro. Infatti, nell’ultimo decennio sono state adottate diverse iniziative e programmi per favorire l’integrazione e la loro efficacia è stata dimostrata dai progressivi miglioramenti nella riduzione del divario:

  • Un esempio lampante è la legge del 12 luglio 2011, la Legge Golfo Mosca, con la quale si tutela la parità di genere nell’accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società.

  • Ancora, la Strategia Nazionale sopra menzionata.

  • A livello europeo, anche la Direttiva Comunitaria, approvata nel 2019, per l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza è un modello di provvedimento preso ai fini di velocizzare il bilanciamento di genere e facilitare l’accesso alle donne alle posizioni dirigenziali.

Inoltre, è interessante notare come sia nell’interesse economico del Paese favorire l’integrazione e come questo aspetto debba essere tenuto in considerazione nell’adottare misure a favore della parità di genere. Ad esempio, si consideri il fatto che, al giorno d’oggi, lo sviluppo di pratiche sostenibili è fondamentale per le aziende che vogliono avere una solida reputazione del proprio marchio nel mercato. In quest’ottica, una ricerca CRIF rivela come le imprese femminili siano in media più sostenibili di quelle maschili, con una differenza segnata da 8 punti percentuali. Dunque, una maggiore partecipazione delle donne potrebbe solo favorire la solidità delle aziende italiane non solo in termini di competitività interna ma anche in un quadro internazionale. Poi, vi sono numerosi studi che confermano come le aziende con una mescolanza di genere elevata ottengano migliori risultati in termini di organizzazione e profitto, raggiungendo ROE superiori anche del 10% rispetto alle aziende mono genere ed EBIT di mediamente un 20% in più.

Cos’è il ROE?

È un acronimo inglese per “Return On Equity”, che corrisponde al “ritorno del capitale proprio”, ovvero una misura per quantificare i ritorni – in termini di profitto –, la “redditività”, derivanti dal proprio capitale investito. Si ottiene dividendo l’utile netto per il patrimonio netto e moltiplicando, poi, il risultato per 100, così da ottenere un risultato espresso in percentuale.

Cos’è l’EBIT?

EBIT sta per l’inglese “Earnings Before Interests and Taxes” e corrisponde al “risultato ante oneri finanziari. Quindi, si tratta del calcolo che permette la stima dei flussi di cassa delle imprese e dello stato di salute dei conti delle aziende. È, essenzialmente, la valutazione della redditività dell’impresa, quindi offre una misurazione per comprendere i guadagni aziendali prima di interessi e tasse. Si calcola sottraendo le spese operative alle entrate.

Quindi, stimolare una composizione equa del personale aziendale rendendolo più rosa non è solo una spinta alla parità percentuale, ma l’occasione per perseguire il progresso, traendone vantaggi economici e migliorando la reputazione italiana su scala globale.

Per ricapitolare

L’analisi della situazione delle donne impiegate in Italia, focalizzata sulla percentuale di esse che ricopre ruoli apicali – ad esempio, CEO –, rivela uno squilibrio di genere persistente. Nonostante un aumento della percentuale di donne occupate e della loro presenza in posizioni dirigenziali negli anni, l'Italia rimane molto indietro rispetto all’obiettivo di risoluzione del divario di genere e si posiziona agli ultimi posti delle classifiche europee. Di fatto, emerge che il Bel Paese sia un’economia avanzata che si posiziona più indietro di molte economie emergenti (soprattutto dell’Europa dell’Est).

Raggiungere la parità di genere implica superare diversi ostacoli, ma vi sono prospettive positive per il futuro, grazie anche al sostegno dato da numerose misure legislative e strategie nazionali volte a migliorare la situazione del Paese a livello economico e mondiale. Inoltre, recenti ricerche che hanno provato come la diversità di genere sia vista come un vantaggio economico per le aziende, il che potrebbe incentivare ulteriormente il progresso – ed essere di buon auspicio – verso una maggiore equità di genere in Italia e, di riflesso, nel mondo.

Autore:
Annamaria Malvestio
Annamaria Malvestio
Assistente al Marketing

Annamaria Malvestio al momento sta studiando Finanza presso la Southern Denmark University. Ha iniziato la sua carriera nella finanza in Credem Banca ed attualmente è Junior Financial Analyst presso Intelligent Banker, dove aiuta i clienti a prendere scelte finanziarie intelligenti.

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